Un gruppo di lavoro ha osservato la crescita di comportamenti caratterizzati da una forte carica di violenza nelle relazioni e di efferata crudeltà. Tale situazione si ritiene riconducibile all’adozione da parte dei ragazzi di modelli culturali di relazione che incoraggiano la competizione e l’individualismo ed è il frutto di un sistema di valori fondato sull’affermazione dell’individuo a discapito del gruppo (di per sé generatore di microconflitti) introiettato da coscienze assolutamente acritiche rispetto al sé ed alla società deviante che li accoglie.
Le nuove generazione si avvalgono di un codice di valori deviante o, ancor più spesso, sono prive di un codice di valori di riferimento. Ciò testimonia l’incapacità della società di svolgere un ruolo educante
Si è avvertita, quindi, l’esigenza di definire all’interno dell’istituzione prassi “sociali” di disciplinamento: percorsi che favoriscano l’acquisizione di modelli comportamentali congruenti con le aspettative della società civile e che possano favorire, di conseguenza, un reale inserimento del giovane condannato.
L’obiettivo è quello di dare spazio all’interno della struttura, in ambito coattivo, a quelle opportunità formative che in condizione libera hanno fallito la loro funzione educante (scuola, lavoro, relazioni sociali corrette tra pari e con gli adulti).
Trasmettere il senso ed il valore della regola come esigenza di comune convivenza, il rispetto per la persona (per se stessi e per gli altri), sono esigenze prioritarie laddove s’intenda riempire la detenzione della sua funzione risocializzante e non meramente general o special preventiva, con un occhio paticolare rivolto ai tossicodipendenti. Un ulteriore obiettivo consisterà, come sempre, nella creazione di condizioni atte a favorire il coinvolgimento ed il supporto all’esterno della struttura penale di risorse del territorio per i giovani che vengono dimessi dall’I.P.M., al fine di favorirne il reinserimento sociale.